Piatti Del Vecchio Napoli 1830
Serie di piatti del XIX secolo in terraglia decorati alla greca con raffigurazioni di soggetti classici ripresi dal vasellame antico ritrovato durante gli scavi a Pompei, Paestum ed Ercolano tra il XVIII ed il XIX secolo.
Firmati sul retro Del Vecchio in corsivo. Periodo della gestione di Cherinto, circa 1826-1836.
Dimensione cm 19,5/20 - stato di conservazione eccellente commisurato all’uso ed epoca.
Famiglia napoletana di ceramisti operante tra i secc. XVII e XIX, la cui attività si colloca nel perpetuarsi della tradizione di arti e mestieri in seno al medesimo clan.
Durante il '700 e fino al 1826 la fabbrica ebbe sede a Napoli al Borgo Loreto (al limite con ponte della Maddalena) ove, sin dai primi del Seicento, erano state aperte alcune "faenzere" (fabbriche) per la produzione di oggetti in maiolica e "riggiole" (mattonelle maiolicate per pavimenti e rivestimenti; poi passerà nella vicina via della Marinella). La prima testimonianza dei D. è costituita dalla presenza del "riggiolaro" Stefano (nato nel 1692: Napoli, Arch. stor. diocesano, Processetto matrimoniale n.2409), la cui ultima opera è il pavimento con mattoni "molto fini e faticati" per la chiesa dei gesuiti di Catania, del 1765 (Ibid., Arch. stor. d. Banco di Napoli, Banco Pietà, Matr. 2253, 2255, 1765). Gli successe il figlio Domenico (nato nel 1732: Ibid., Arch. stor. diocesano, Lettera D.) di cui si hanno molte notizie fino al 1785. Contemporaneamente altri D. risultano presenti presso la R. Fabbrica di maioliche di Caserta, voluta da Carlo VII di Borbone nel 1753: Angelo (dalla fondazione alla chiusura nel 1756), Gennaro dal 1754 e Nicola dal 1755, tutti operanti nel settore della pittura (Donatone, 1973).
Gli oggetti decorati da Angelo (siglati o datati dal 1754 al 1764: Donatone, 1981, fig. 64) dimostrano un raffinato gusto pittorico rococò derivante dalla cromia dei pavimenti settecenteschi dell'inizio del secolo. Dal 1774 al 1789 Gennaro è indicato come "riggiolaro" (Arch. di Stato di Napoli, Mon. soppr. 4144, f.n.n.): nel 1789 appare con Nicola, forse suo figlio, come titolare di una "faenzera" che produce "piatti, piattini, zuppiere, insalatiere, bacili, rinfrescatoi ed ogni altro oggetto in tinta verde" (ibid. 4146, ff. n.n.). A questa tipologia appartiene il servito di maiolica per 32 coperti (Napoli, coll. Garzilli), decorato con eleganti piccoli fiori in ramina tra un sottile disegno in manganese su ampio fondo bianco: fondo bianco e ramina saranno elementi distintivi della futura produzione del tardo Settecento (Borrelli, 1961, vetrina 7).
Secondo Novi (1865), nel 1785 Gennaro e Nicola avrebbero ricevuto una sovvenzione di 18.000 ducati dal re Ferdinando IV di Borbone, per dare inizio ad una produzione sperimentale di vasellame di terraglia secondo il tipo inglese, onde evitare la considerevole importazione di tali oggetti; ma la notizia risulta inesatta (Borrelli, 1985, p. 36). Esiste però un inedito servizio di terraglia con le vedute di Napoli, siglato "F.D.V." - Fabbrica Del Vecchio - (Napoli, coll. privata) che evidenzia la ripresa semplificata dal celebre servizio "dell'Oca" prodotto nella R. Fabbrica dal 1792 al 1797 e che dimostrerebbe la più antica attività della fabbrica.
Una nota di pagamento del 1815 (Arch. stor. del Banco di Napoli, Banco Pietà. Cassa, ff. n.n.) attesta la vendita di oggetti di porcellana, "vasi e candelieri", da parte di Nicola; ciò molto prima dell'antagonista fabbrica Giustiniani, con la quale suo nipote Cherinto risulta associato nel 1836 (Carola Perotti, 1972, p. 852) dopo una vivace contesa. Nel 1818 la fabbrica appare gestita da Gaetano, il quale fino al 1822 ricevette premi nelle esposizioni delle industrie napoletane per i suoi ottimi prodotti di terraglia "venduti anche all'estero". Nella successiva edizione del 1826 era presente per la prima volta Cherinto con un suo dichiarato campionario di oggetti in terraglia realizzato nella nuova sede alla "strada della Marinella 4", nella quale produceva le originali mattonelle con fiori (firmate, 1820 circa); oppure il pavimento del 1829 per la chiesa di S. Maria de Commendatis di Maddaloni (Caserta), con marca "Del Vecchio" in una ghirlanda di alloro sormontata da una corona regia, a ricordo dell'antica concessione reale.
Nel 1830 Cherinto ricevette una medaglia d'oro per le sue porcellane prodotte con "materiali indigeni", distinguendosi anche nelle esposizioni del 1832 e del 1834; nel 1836 ricevette il premio congiuntamente ai Giustinani, con i quali era in società (Liberatore, 1834).Nel 1840 Cherinto fu ancora premiato per gli oggetti di "terraglia all'uso inglese", ma quando la direzione fu assunta dal figlio Gennaro, questi, nell'incapacità di reggere alla concorrenza delle nuove fabbriche, prima scadde in una produzione di serie e poi, nel 1855, chiuse la fabbrica (Mosca, 1908, p. 126), che fu poi rilevata, nel 1870, dall'ultimo dei Giustiniani, Michele.
Non è possibile integrare la storia della fabbrica Del Vecchio con la vasta produzione mai datata, anche se spesso siglata. Alcuni elementi distintivi aiutano solo ad isolare i prodotti da quelli della coeva e più nota fabbrica Giustiniani e dalle ripetizioni. I D., come le altre fabbriche, produssero, contemporaneamente, due o tre campionature differenziate per gusto, rifinitura, soggetto e colore, i cui modelli, spesso, furono riutilizzati a distanza di tempo. Ad una produzione raffinata ne accoppiarono una popolareggiante onde soddisfare le richieste di diverse fasce della clientela, costituita dalla ricca, media e piccola borghesia: la nobiltà acquistava le porcellane.
Uno degli elementi distintivi è la prevalenza del senso plastico, fuso ad una sintesi cromatica ridotta a pochi ornati su un ampio fondo bianco, anche quando la composizione è costituita da fiori, animali e paesaggi; abbondante è la produzione della terraglia bianca e di quella marmorizzata. La decorazione "all'estrusca ed all'egizia" si presenta più geometrizzata e semplificata rispetto ai coevi campioni della Giustiniani. Il gruppo dei modellati, particolarmente coppie in costumi del sec. XVIII, o i più noti "Pulcinella" e gli animali, riflettono la ricerca di sintesi plastica e cromatica dei serviti. Per la produzione più corrente la cromia è data per campiture secondo le esperienze settecentesche, e ciò fino al 1826 quando Cherinto propone una tipologia più raffinata d'impronta neoclassica, tentando di trasferire sulle terraglie le delicatezze del decoro delle porcellane. Delle porcellane non è stato possibile reperire pezzi siglati, certo confusi con quelli dei soci Giustiniani, o addirittura con quelli non segnati della R. Fabbrica; infatti il Carafa, duca di Noia (1877, pp. 311, 315, 342, 358), precisa che i D. ripeterono i modelli della R. Fabbrica, ed a tal proposito indica un gruppo di biscuit antico, raffigurante una Coppia in costume del secolo XVIII, montato su una base in terraglia dai D., oltre ad un vaso, un candeliere ed un pomo di bastone derivanti da modelli della R. Fabbrica. È al periodo più antico, verso il 1815, quando producevano una terraglia molto bianca coperta da spessa vernice porcellanata, che sono da assegnare due gruppi modellati da scultori che operarono anche nell'ambito della plastica da presepe napoletana: S. Michele arcangelo (Napoli, Museo S. Martino: Causa-Bonucci, 1964, fig. 19) e Tobiolo e l'angelo (ibid., coll. private: Borrelli, 1985, p. 37). Al settore della "mezza porcellana" sono da assegnare il gruppo del Genio di Napoli che indica l'abbondanza della terra (Carafa Noia, 1877, p. 308) e Bacco e Cupido (ibid., p. 342).
Di non facile soluzione è il problema degli oggetti prodotti nell'ambito delle rappresentazioni plastiche d'impostazione ottocentesca ma riflettenti canoni settecenteschi, come la serie dei calamai la cui funzionalità era mascherata in una mossa base rococò con reticella (motivo tipico dei D.), derivante dalle decorazioni dei pavimenti e vasi del '700, sovrastata da un Ragazzino in ginocchio (Napoli, coll. Pisani) o da un Pulcinella gobbo (ibid., coll. privata). Questa serie, erroneamente attribuita ai Giustiniani (Putaturo Murano, 1981, tav. XV), fu realizzata nelle versioni della terraglia bianca e colorata (Borrelli, 1961). 1 gruppi di figure in costume del sec. XVIII, o quelli dell'inizio dell'800, come quelli del Museo Correale di Sorrento (erroneamente attribuite alla fabbrica Giustiniani: Morazzone, 1938, p. 8) sono ripetizioni eseguite verso il 1840 di modelli della prima produzione dei D. (1815 circa). Non diversamente la Coppia di borghesi a passeggio (Napoli, coll. Novelli) certo dei D. sia per la tipica base marmorizzata sia per la funzionalità del tronco di albero porta penna, elemento che mostra l'idea "dell'oggetto-regalo". Ripetizione di modelli ottocenteschi, verso il 1840, è, la serie dei Pulcinella con le scimmie (Carafa Noia, 1877, p. 353; Museo Correale, Sorrento; Napoli, coll. Di Donato), alcuni con la tipica spessissima patina d'invetriatura dei D. che determinava, nel giro di pochi anni, lo spellamento detto "del saltar via".
Il "presepe" napoletano, tra Settecento ed Ottocento, costituì un avvenimento artistico di - notevole rilievo nel quale la scena della "taverna" era arricchita da numerosi esemplari, in minute proporzioni, dei medesimi oggetti in maiolica che allietavano le tavole del tempo: una straordinaria serie di queste zuppiere, vassoi, piatti "alla reale", fiasche, lucerne, "giarre", "scafaree", ed altri oggetti dei D., era presente alla mostra del 1961 (Borrelli, vetrina 5). Nella medesima mostra erano presenti gli esemplari per serviti in terraglia bianca (Napoli, coll. Di Donato), una particozlarità della produzione dei D.: fioriere, rinfrescatoi da bicchieri, tazze, fondine, brocche, canestrelle per frutta, candelieri, burriere, zuppiere, acquamanili, stufette per gelati, tazze per brodo, salsiere, vassoi, serviti per déjeuner, per tête-à-tête, lattiere, teiere, bacili e brocche per barba, fornelli per pipe, tabacchiere, oliere, portaprofumi. A tale genere appartengono le zuppiere "a tripode", con le protomi leonine o di Medusa, nelle varianti policrome o bianche di piccole rose (Napoli, coll. privata) siglate "F.D.V.N." (Fabbrica Del Vecchio, Napoli).
Le marche non sono sempre decifrabili e databili: la "F.D.V." va riferita alla produzione più antica, presumibilmente fino al 1818, nella gestione di Gaetano e prima delle larghe esportazioni all'estero; mentre l'aggiunta di "N" (Napoli) può giustificarsi proprio con la diffusione fuori dell'Itafia. La marca "Del Vecchio" e quella "Del Vecchio, N.", in corsivo, possono riferirsi al più noto periodo della gestione di Cherinto, sia per la similitudine con le marche recuperate a tergo di mattonelle databili, sia per quel raffinato gusto, che fu proprio di Cherinto, di trasferire le tecniche delle porcellane sulle terraglie. A tale genere appartengono gli eccezionali inediti oggetti, dalla raffinata decorazione (Napoli, coll. G. Donatone), fino ad ora erroneamente attribuiti alla fabbrica Giustiniani per la cromia elegante e miniaturata nelle scene di soggetto popolare (il ritorno dalla festa della Madonna dell'Arco e una vendita di pesci), raffigurate su un grande "cratere", e della Galatea su un piccolo vassoio, ambedue siglati "F.D.V.N. (Borrelli, 1985, p. 34). Risultano marcati "Dei Vecchio N." oggetti in stile "etrusco" ed in terraglia bianca del Museo S. Martino, Napoli; mentre non sono stati recuperati quelli che il Mosca (1908) indica segnati dalla marca "Del Vecchio" preceduta e seguita da un rombo.