La Roma del ‘700 possedeva una grande tradizione nel campo della lavorazione del mosaico, consolidatasi nel corso di due secoli. Fin dalla seconda metà del 1500 a partire dal pontificato di Gregorio XIII (1572-1585), l’amministrazione pontificia, per mezzo della Congregazione della Reverenda Fabbrica di San Pietro preposta alla cura della Basilica Vaticana, si era prodigata nella creazione di una scuola di mosaico che operasse nel suo seno, arrivando, nel 1727 all’istituzione dello Studio Vaticano del Mosaico. In questa prima fase la tecnica musiva praticata fu esclusivamente quella tradizionale del mosaico in grande in smalto tagliato, un genere pensato per essere ammirato a distanza. Ma sul finire del XVIII secolo, gli artisti romani iniziarono a sperimentare anche la tecnica del mosaico in piccolo o minuto in smalti filati, oggi noto come micromosaico. Il nuovo genere musivo, da quardare a distanza ravvicinata, apriva loro il libero mercato, prestandosi alla realizzazione di prodotti destinati alla persona ed all’arredo. All’interno dello Studio Vaticano i lavori in minuto furono introdotti in un momento in cui mancava il lavoro ed i mosaicisti erano privi del necessario guadagno per vivere. Il successo del settore privato del micromosaico in questa prima fase si può far risalire alle seguenti circostanze: la cultura neoclassica, particolarmente amata dalla società europea collegata al fenomeno del Grand Tour, che favorisce la richiesta di opere preziose ispirate all’antico; la spinta all’innovazione e alla modernizzazione impressa allo Studio del Mosaico Vaticano nel periodo in cui Roma fu sotto la dominazione francese (1809-1814); la fondazione a Parigi di una scuola di mosaico che, seppure è durata per un breve periodo, ha lasciato un forte segno fra i mosaicisti, abituati a lavorare solo nell’ambito dello Studio Vaticano. L’attività produttiva dei mosaicisti specializzati nel micromosaico trovò sviluppo in opere sia di carattere religioso che profano. I principali committenti erano sovrani, aristocratici di alto rango, facoltosi borghesi ma anche argentieri ed orefici (romani, francesi, austriaci, russi ed inglesi) che chiedevano placchette da incastonare su gioielli o su scatole (tabacchiere, bomboniere in oro, argento, tartaruga, legno, vernis martin, lacca, marmo, etc). I soggetti più ricercati dai viaggiatori del Grand Tour, come ricordo del loro viaggio, erano vedute romane, fiori, animali, personaggi e scenette tratte dal mito o dalle pitture antiche. Sulla scia del grande successo del mosaico romano, sia in tagliato che in filato, alcuni maestri mosaicisti si trasferirono, invitati dallo Zar, a San Pietroburgo ove fondarono una scuola simile a quella Vaticana. L’esperimento durò solo pochi anni ma fu sufficiente a lasciare un segno indelebile, così come la scuola di Parigi istituita dai Francesi, ma diretta da mosaicisti romani. In merito alla scelta dei temi, il micromosaico offre all’artista una maggiore libertà interpretativa del soggetto che è, comunque, quasi sempre ispirato a celebri soggetti pittorici. Materia prima del micromosaico è lo smalto composto da silice fusa mescolata con minerali che ne consentono l’indurimento, mantenendo la fragilità del vetro. Lo smalto per mosaici veniva prodotto in piccoli pani (o pizze), dai quali per mezzo del tagliolo e della martellina si ricavavno, prevalentemente, tessere di forma quadrata. Lo smalto “filato” è invece lavorato a forma di lunghi bastoncini ( bacchette) ricavati dalla fusione dello smalto ridotto in pezzi. Subito dopo la prima sperimentazione del filato, gli specialisti di questa tecnica si accorsero che era possibile produrre bacchette contenenti più colori in un solo pezzo, sena che gli stessi si amalgamassero tra loro. L’utilizzo di questo smalto a più colori, detto malmischiato, portò ad una notevole abbreviazione dei tempi di lavorazione, facilitando la resa di alcuni soggetti quali gli animali – soprattutto in relazione alla resa del mantello – e la vegetazione, senza però incidere sulla qualità dell’opera finita. Le caratteristiche della tessera “tagliata” e di quella “filata” sono le seguenti: – le tessere dei mosaici tagliati (pietra o pasta vitrea) sono quadrate e di circa 1 cm per lato. – le tessere dei micromosaici in smalto sono di circa 1mm per lato. -la forma della tessera filata è quella assegnata alla bacchetta di smalto al momento della filatura: con questa operazione preliminare l’artista ottiene tessere di ogni tipo di forma, senza ulteriori lavorazioni. Il supporto entro cui è realizzato il mosaico si può ottenere da materiali differenti. La scelta è determinata, principalmente, dalla dimensione e dalla destinazione della decorazione musiva. I supporti più utilizzati, iniziando dai più antichi (seconda metà del ‘700), risultano essere i seguenti: – piastre di rame sottile, atte a contenere il lavoro ed alte circa 3 mm di bordo, il rame duttile e leggero era lo stesso usato per le incisioni. – vetro opalino, di forma tonda ovale o rettangolare con spessore di 3-4 mm, tale da contenere il mastice e le tessere all’interno della placchetta senza compromettere la necessaria resistenza. – placchette di vetro, preformato di vari colori. Questo supporto è stato usato per mosaici molto piccoli adatti ad essere incastonati ed usati come gioielli. – supporto in pietra (marmo nero del Belgio) molto compatto e privo di scistosità e facile da scavare per creare il fondo. In genere è ovale o rettangolare ed era usato per calamai, fermacarte, piani di tavolo, quadretti di diverse dimensioni. Le diverse tipologie di supporto talvolta convivono nel tempo. La realizzazione di un mosaico minuto iniziava con il riempire il supporto con il mastice e, successivamente, con uno strato di gesso. Sul gesso veniva disegnato a carboncino il soggetto da comporre. L’ esecuzione si svolgeva poi asportando, una dopo l’altra, piccole porzioni di gesso ed inserendo nel mastice sottostante le tessere adatte a riprodurre la parte del disegno ritagliato. Il tempo di realizzazione era vincolato all’indurimento che variava con lo spessore e con la dimensione dell’opera da realizzare (mesi od anni). Ultimata la stagionatura veniva svolto un delicatissimo lavoro di finitura a cera per chiudere le fessure e successivamente incominciava la levigatura con selce e lucidatura a piombo. Le opere in micromosaico sono in ogni caso stupefacenti realizzazioni artigianali ma possono anche qualificarsi come vere e proprie opere d’arte. La relativa breve durata di questa forma d’arte rende problematica la datazione dei suoi prodotti, per la sovrapposizione di stili e di tecniche succedutesi troppo rapidamente. Va ricordato che solo una minima parte di queste opere sono firmate. La mancanza delle firma deve attribuirsi al fatto che i mosaicisti non si sentivano creatori dell’opera ma semplici riproduttori. Nel campo iconografico si assiste al passaggio da uno stile classico e statico ad uno stile naturalistico attento alla resa del movimento. Alle origini della produzione i fondi sono di preferenza astratti di colore unito e con tessere a corsi paralleli di studiata precisione; l’inquadratura è frontale, la tavolozza dei colori piuttosto essenziale. Nel primo Ottocento, con l’ avvento del nuovo clima culturale portato dal Romanticismo, cambiano i soggetti, compare il movimento e si amplia la tavolozza. Questo cambiamento è reso possibile dall’introduzione di tessere di forma irregolare, capaci di produrre effetti dinamici. Il mosaicista non interverrà più sull’allineamento delle tessere per ottenere una sagoma ricurva, ma userà una tessera già ricurva. Temi ricorrenti diventano, oltre alle vedute dei monumenti romani che resteranno sempre il soggetto principale, paesaggi, animali, composizioni floreali. In concomitanza con queste innovazioni si assiste anche ad un notevole ampliamento cromatico della tavolozza e all’affermarsi di un nuovo gusto pittorico che si manifesta nella ricerca di un vivace contrapporsi di colori. l mosaico minuto non rappresenta fatti di cronaca ma mantiene sempre uno stretto legame con la pittura dei grandi maestri. La sua produzione di età romantica spesso è il risultato della fusione del procedimento esecutivo che adotta tessere quadrate e di quello che adotta tessere di forma irregolare. La fusione avviene con un’accorta adozione delle due forme espressive, in ragione del tipo di resa figurativa che meglio si presta a rendere le diverse parti del soggetto. Nel caso dei paesaggi romani, ad esempio, al primo gusto tipicamente neoclassico in cui i ruderi, sono visti con l’occhio attento dell’indagatore, dello studioso e del conoscitore, rapportabile allo stile del Piranesi, succede una rappresentazione in cui il rudere è inserito in un paesaggio cespuglioso e aperto verso lontane visioni di colline, in un’atmosfera serena ed in una luce meridiana. L’atmosfera è sicuramente più attenta a registrare le emozioni piuttosto che a trasmettere l’immagine classica, veicolo di messaggi arcani e talvolta esoterici. Caratteristiche pittoriche di questi mosaici “romantici” sono la coloritura del cielo, lo sfondo digradante delle piane, i flussi d’acqua, la calda coloritura dei mattoni e le limpide lontananze dei paesaggi. Uno stretto legame con la pittura è stato osservato da artisti come Antonio Aguatti (fine del XVIII secolo – 1846), un grande maestro del micromosaico che ha accordiato le distanze fra mosaico e pittura adottando le necessarie tecniche ed ampliando la tavolozza dei colori. Dopo la metà dell’800 la produzione del micromosaico risente degli eventi storici che hanno messo in crisi il mondo produttivo di tutti i paesi del vecchio continente e dell’affermarsi della civiltà industriale. In questa nuova realtà il mosaicista si trova n ella condizione di dover aumentare la produzione riducendo i costi. Le principali soluzioni adottate per accelerare la produzione furono due: l’impiego molto esteso dello smalto malmischiato e cioè, come si è già detto, degli smalti filati contenenti in una stessa bacchetta più colori, e l’uso di elementi preformati per la realizzazione di alcune parti della composizione, in particolare degli elementi architettonici (architravi, colonne, finestre; e della vegetazione. In generale, poi, si ricorse all’adozione di tessere più grandi e ad una loro disposizione meno serrata. Gli interstizi troppo larghi tra una tessera e l ‘altra erano poi nascosti, a composizione ultimata, con l’uso di cera colorata. Va infine notato che le opere di questo periodo sono in genere di grandi dimensioni e con un forte uso del marmo nero del Belgio che consente di utilizzare tessere più spesse. ciò consegue la scomparsa delle piastrine di supporto in rame, per le quali era necessario utilizzare tessere di spessore non superiore a mm 1/1,5. Le nuove tecniche non hanno dato risultati del tutto negativi perché ora, a differenza di quando venivano usate tessere minute e quadrate, la creazione del mosaico con tessere preformate rende l’immagine più nitida e perfetta negli angoli e nei margini degli edifici, tanto da farla apparire come calata in uno spazio metafisico. Con i primi anni del XX secolo l’arte del micro mosaico ha dovuto cedere di fronte all’avanzata dell’ industrializzazione e delle forme di arte da essa derivate, ma non è scomparsa.