Micromosaico gufo e capretto Aguatti

Micromosaico gufo e capretto Aguatti

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Eccezionale e raffinatissimo micromosaico su cassina di rame raffigurante un gufo che afferra con gli artigli un capretto in un paesaggio su sfondo celeste chiaro, montato sul coperchio di una tabacchiera in granito o porfido verde con montatura in argento dorato con bolli pontifici, orafo Luigi Mascelli (attivo 1804-1825).

Il micromosaico è attribuibile ad Antonio Aguatti (1800-1846)

Dimensione della scatola cm 8,5 – del micromosaico cm 7,5

Stato di conservazione perfetto, commisurato all’epoca e all’uso.

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Il raro soggetto qui raffigurato nel nostro micromosaico è ripreso da un disegno o dipinto del pittore Johann Wenzel o Venceslao Peter (1742-1829) attivo a Roma dal 1774 fino alla sua morte. Minuziosissimo negli studi anatomici, si fece notare soprattutto come animalista (celebri i suoi combattimenti d’animali e quelli affrescati nel Casino nobile di Villa Borghese e il suo Paradiso terrestre, acquistato nel 1831 da papa Gregorio XVI per l’arredo della Sala del Concistoro in Vaticano e ora nella Pinacoteca Vaticana). Nel 1812 divenne professore presso l’Accademia di San Luca.

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Il micromosaico, vista la qualità museale potrebbe essere attributo, non essendo firmato, ad alcuni dei più importanti e bravi micromosaicisti attivi all’inizo del secolo: Giacomo Raffaelli, Antonio Aguatti o Filippo Puglieschi i quali hanno tutti e tre realizzato soggetti di questo genere.

Un esemplare quasi identitico “firmato” Aguatti è stato venduto da Christie’s a Parigi nel 2007.

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Un’altro esemplare di forma rettangolare conservato nel suo astuccio in pelle originale firmato Aguatti è stato venduto all’asta da Delon-Hoebanx a Parigi nel Giugno 2018 per circa 40.000 euro.

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Visti i due esempi sopracitati propendiamo per l’attribuzione del nostro esemplare al medesimo artista.

Antonio Aguatti o Aquatti (attivo nella prima metà del XIX secolo – muore nel 1846 circa)

È ricordato dal Moroni come uno dei più valenti artisti dediti al micromosaico nella Roma dei primissimi anni del secolo. Si devono a lui alcune innovazioni tecniche originali, quali la realizzazione di smalti filati comprendenti in un unico pezzo più variazioni di uno stesso colore e il taglio delle tessere aperto alle più diverse forme geometriche. Il suo studio si trovava in Piazza di Spagna, 96.

1810 – Il 26 Agosto Aguatti è premiato in Campidoglio per le opere in micromosaico con cui ha partecipato alla prima “Mostra capitolina delle arti e dell’industria romana”.

1815 – Insieme ad altri 15 artisti romani, chiede ed ottiene l’intervento dell’Accademia di San Luca contro la vendita di micromosaici e gemme incise di scadente fattura falsamente attribuiti a noti maestri.

1829 – Nel mese di gennaio è ammesso tra i mosaicisti dello Studio Vaticano di Mosaico, alle dipendenza dell’Erario Pontificio.

1830 – Il 13 Gennaio la moglie Maddalena a causa “delle vessazioni e del contegno cattivo” gli muove accusa.

1834 – È professore dei mosaici filati nello Studio Vaticano del Mosaico.

1846 – Il 2 Maggio Cesare Castellini succede al defunto Antonio Aguatti, come mosaicista soprannumero in stile minutio dello Studio Vaticano del Mosaico.

Lugi Mascelli (Roma, 1770 ca – 1825) maestro orefice, figlio di Giuseppe e di Marianna Betti.

1783-1784: è indicato presso il padre, ottonaro a via dei Banchi.

Dal 23 Agosto 1792 al 1795 figura tra i lavoranti orefici.

1795-1803: coniugato con Rosa Cimini è indicato nella casa d’angolo di via del Pellegrino col vicolo dei Cimatori che nel 1798 è segnata col numero civico 702

29 Luglio 1804: ammesso alla prova il 24 Giugno, la presenta lo stesso giorno ed ottiene la patente.

1805-1824: con la famiglia dimora e tiene bottega a piazza di Spagna numero 90 e 91.

31 Maggio 1825: passò agli eterni riposi.

Johann WENZEL (Venceslao) PETER (Karlsbad, 1745 – Roma, 1829) – è stato il pittore animalier più celebre e ricercato della Roma di Pio VI Braschi e di Pio VII Chiaramonti, tra l’ultimo quarto del Settecento e i primi venti anni del secolo successivo. A queste date Peter risultava già artista assai celebre sullo scenario artistico romano. L’Elenco dei più noti artisti viventi a Roma – fonte assai preziosa per gli studi sulle arti romane di fine ‘700 – steso nel 1786 dal pittore e critico d’arte tedesco Halois Hirst (a Roma dal 1782 al 1796) documenta l’alta considerazione in cui sin da allora il pittore era tenuto presso la comunità artistica della capitale pontificia. Hirst faceva esplicito riferimento alle pitture murali e ai dipinti su tela che Peter, prediletto dal principe Marcantonio IV Borghese,  aveva  abbondantemente  realizzato nell’ambito dei grandiosi lavori di decorazione pittorica e plastica che formarono il nuovo complesso ornamentale della Palazzina Pinciana.  Tra il 1776 e il 1777 Peter decorò le pareti del grande salone d’onore della palazzina  con una mirabile serie di ben 160 animali, tutti diversi, dipinti ad affresco in modo estemporaneo, senza cioè alcun modello grafico, tra gli arabeschi e le grottesche affrescate sulle medesime pareti in un momento immediatamente precedente dal pittore ornatista Pietro Rotati . Mentre diversi dipinti ad olio su tela di soggetto animalier, molti dei quali oggi risultano dispersi, vennero eseguiti per decorare i sovrapporte delle sale al piano terreno. Trasferitosi definitivamente a Roma nel 1774, nei cinquant’anni successivi (fino alla morte sopraggiunta nel 1829) il boemo Peter fu coinvolto nelle più significative imprese artistiche che in quel lungo periodo si svolsero a Roma. Oltre  ai  ricordati  lavori  per  il  Casino Borghese, prese parte negli stessi anni alla decorazione del Salone d’Oro di Palazzo Chigi, del Gabinetto Nobile di Palazzo Altieri (1789-1790) e fu nell’équipe di pittori che su commissione della zarina di Russia Caterina II e guidata dal fiemmese Cristoforo Unterperger riprodusse a grandezza naturale le Logge Vaticane di Raffaello per il palazzo d’inverno dell’Ermitage. Peter inoltre fu molto apprezzato dalla committenza pontificia. Dai suoi dipinti di genere animalier furono tratti negli anni diversi modelli grafici tradotti a mosaico minuto dallo Studio  del  “Musaico della  Reverenda  Fabbrica  di   San  Pietro” in  Vaticano. Parte del repertorio figurativo adottato a modello dallo Studio Vaticano nell’ultimo quarto del XVIII secolo – in particolare i tanto celebrati soggetti animalisti – deriva in effetti dai dipinti di Peter, come alcuni pannelli musivi eseguiti da Antonio Aguatti o Giacomo Raffaelli oggi conservati nelle più importanti raccolte del mondo come la Gilbert Collection di Londra. Presente, con un Combattimento tra un leone e una tigre (dipinto oggi conservato ai Musei Vaticani) nel ristretto gruppo di artisti che presero parte alla prestigiosa mostra tenutasi in Campidoglio nel novembre del 1809 in onore di Gioacchino Murat per salutare l’elezione  di  Roma  a  città  imperiale  e  l’annessione  dello  Stato  Pontificio  all’impero francese, nei primi anni del XIX secolo Peter acquisì fama e prestigio davvero internazionali. Nel 1830, pubblicandone il necrologio, la rivista tedesca “Kunstblatt”, definendolo “ritrattista degli animali”, ricordava come i suoi dipinti fossero ancora richiesti e spediti a “Napoli, Firenze, Milano, Praga, in Prussia, Russia, Spagna,Francia, America e, soprattutto, in Inghilterra”. La stima goduta dall’artista presso la Curia Pontificia venne definitivamente confermata nel 1831, quando Marianna Peter, la figlia del pittore ormai scomparso da due anni, si rivolse a papa Gregorio XVI per vendere alcune delle opere rimaste nello studio del padre. Il pontefice acconsentì all’acquisto di ben undici dipinti, immediatamente trasferiti nelle raccolte dei Musei Vaticani. Tra questi per mole e qualità spicca la monumentale tela di Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre. Il dipinto, una sorta di work in progress cui Peter lavorò per quasi mezzo secolo continuando ad aggiungere sempre nuovi animali come documenta un uccello ancora non finito collocato sul ramo di uno degli alberi, nello studio del pittore fino alla sua morte e contenente ben 240 animali diversi, doveva costituire una sorta di enorme “campionario” su cui la facoltosa clientela romana ed internazionale del pittore poteva liberamente scegliere l’animale da doversi raffigurare nel dipinto che si intendeva commissionare all’artista.